Come dice Alessandro Baricco:
“Non siamo personaggi, siamo storie”. Oggi vogliamo presentarvi “Villa
Angelina” di Sora, la comunità-alloggio per persone adulte con problematiche
psico-sociali gestita dal Consorzio Intesa. Gli utenti sono tredici e di
tipologia molto eterogenea. Tredici persone con trascorsi di vita e storie
complesse alle spalle che hanno trovato a “Villa Angelina” un po’ di sollievo,
tanto affetto e cura da parte degli operatori. La nostra intenzione è quella di
raccontarvi con delicatezza, garbo e pudore, la storia di ognuno di loro, nel
rispetto della loro privacy e vissuto. Per questo motivo utilizzeremo dei “nomi
di fantasia” ma le storie restano. E sono le loro.
Vorremmo cominciare con quella di
“Orsa Maggiore”, la chiameremo così, come la costellazione, che ha avuto un
vissuto fatto di abusi, e di suo figlio “Orsa Minore”, e che insieme vivevano
una vita fatta di stenti e disagio. Disorientata. Spezzata. Cominciamo con loro
non perché ci sia una predilezione, ma semplicemente perché con loro ha preso
vita la comunità “Villa Angelina”, comunità fortemente voluta da Antonio
Alberto Santucci che di queste persone era l’amministratore di sostegno, il
tutore. Antonio Alberto Santucci auspicava una comunità che indicasse “la
stella polare” per un buon cammino. E “Orsa Maggiore” e “Orsa Minore” in questa
comunità-alloggio la loro strada l’hanno ritrovata. Conducono le loro vite
autonomamente, coadiuvati dagli operatori, eppure assieme all’interno della
comunità. Quando “Orsa Minore” la sera a volte esce, “Orsa Maggiore” si mette a
letto, ma senza mai spegnere la luce. Aspetta, come solo una madre fa, che il
figlio sia rientrato. Solo dopo qualche chiacchiera ed un saluto si addormenta.
“Stella Maggiore” ha portato con sé a “Villa Angelina” anche “Caccettella”, la
cagnolina da cui non si sarebbe separata mai. Stando “Stella Maggiore” su una
carrozzella, si accerta sempre che le sia stato dato da mangiare, chiede sempre
di lei e appena possibile, con l’aiuto degli operatori, scende in ascensore e
va a trovarla nel bel cortile. Una storia d’amore interrotta e poi ricomposta che
commuove e dà speranza. E brilla più di prima. Come accade nella metafora e
tecnica del kintsugi: l’arte giapponese delle preziose cicatrici. Rompendosi,
la ceramica prende nuova vita ricomponendo, senza nasconderle, ma
evidenziandole, le linee di frattura dell’oggetto, che diventa ancora più
pregiato. Grazie alle sue cicatrici. L’arte di abbracciare il danno, di non
vergognarsi delle ferite, è la delicata lezione simbolica suggerita dall’antica
arte giapponese del kintsugi.
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