“Una felicità autentica si può
realizzare solo condividendo le gioie e le sofferenze della collettività come
membri della società”, dice T. Magkiguchi. Negli ultimi decenni il welfare
state ha subito trasformazioni che lo hanno portato ad assumere un profilo sempre
più locale, cambiamenti che hanno reso il welfare tradizionale, centralizzato e
standardizzato , sempre meno capace di rispondere con modalità efficaci a una
domanda sociale che è in misura crescente, eterogenea ed individualizzata. Il
coinvolgimento delle amministrazioni locali nell’erogazione di welfare è stato strategico
al fine di trovare risposte efficaci ai bisogni di sostegno sociale sempre più
individualizzati, frammentati ed eterogenei e per espandere i servizi sociali e
le politiche attive, approssimandoli alle esigenze di una comunità circoscritta
di destinatari. Con le nuove politiche di welfare locale si è data una risposta
ai fabbisogni di benessere sociale attraverso la sinergia tra tutti i corpi intermedi,
l’impresa profittevole e quella no-profit, le associazioni rappresentative dei
lavoratori, gli imprenditori e gli stessi fruitori.
Se il proposito di costruire
sistemi di welfare inclusivi è stato un grande traguardo della seconda metà del
Novecento, nel nuovo millennio è messo in discussione e minacciato dalla crisi
economica in corso. Nell’attuale fase del welfare, vi è un quesito di portata
storica perché in un momento di particolare criticità e tensione sulle risorse,
che coincide con una situazione sociale ed economica incerta, solo chi ha
l’intraprendenza di rilanciare e di collocarsi nella prospettiva di erigere un
nuovo sistema più aperto, più inclusivo e più sostenuto da processi diffusi di
produzione e condivisione di conoscenze, può accompagnare una evoluzione che
riesca a mantenere il grande capitale di cura e di sviluppo che ha caratterizzato
il welfare del secolo passato. Necessario però superare quei tratti di
immobilizzazione, di inflessibilità e di esclusione che, di quel sistema, hanno
delineato le parti meno avanzate e più conservative. “Senza l’ardire di
selezionare tra eccellenze e irrigidimenti burocratici, non si tutela e
promuove la capacità di cura del nostro sistema di welfare; al contrario, si
permette che le esperienze migliori e più coerenti con le esigenze della
società contemporanea siano trascinate nella delegittimazione che sta colpendo
le parti più rigide e burocratizzate. Un welfare che produce decisioni, genera
cambiamento e supporta processi di sviluppo per le persone e per il paese,
richiede un pensiero coraggioso e aperto, e una generazione di ricercatori,
operatori e decisori disposti a esplorare le infinite possibilità di
connessione e creazione di valore praticabili nell’apparente caos delle reti di
welfare. Il salto richiede analisi robuste sulla società, sulle risorse e sui
servizi, che attivino in modo diffuso una conoscenza più realistica e meno
retorica sul sistema, per definire una visione di lungo periodo su cui fondare
politiche e azioni sociali di alto impatto attuativo”, come afferma Giovanni
Fosti che svolge attività di ricerca sui temi degli assetti istituzionali,
della governance e della strategia nelle Amministrazioni Pubbliche.
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