martedì 11 febbraio 2020

Politica sociale e welfare locale.


“Una felicità autentica si può realizzare solo condividendo le gioie e le sofferenze della collettività come membri della società”, dice T. Magkiguchi. Negli ultimi decenni il welfare state ha subito trasformazioni che lo hanno portato ad assumere un profilo sempre più locale, cambiamenti che hanno reso il welfare tradizionale, centralizzato e standardizzato , sempre meno capace di rispondere con modalità efficaci a una domanda sociale che è in misura crescente, eterogenea ed individualizzata. Il coinvolgimento delle amministrazioni locali nell’erogazione di welfare è stato strategico al fine di trovare risposte efficaci ai bisogni di sostegno sociale sempre più individualizzati, frammentati ed eterogenei e per espandere i servizi sociali e le politiche attive, approssimandoli alle esigenze di una comunità circoscritta di destinatari. Con le nuove politiche di welfare locale si è data una risposta ai fabbisogni di benessere sociale attraverso la sinergia tra tutti i corpi intermedi, l’impresa profittevole e quella no-profit, le associazioni rappresentative dei lavoratori, gli imprenditori e gli stessi fruitori.

Se il proposito di costruire sistemi di welfare inclusivi è stato un grande traguardo della seconda metà del Novecento, nel nuovo millennio è messo in discussione e minacciato dalla crisi economica in corso. Nell’attuale fase del welfare, vi è un quesito di portata storica perché in un momento di particolare criticità e tensione sulle risorse, che coincide con una situazione sociale ed economica incerta, solo chi ha l’intraprendenza di rilanciare e di collocarsi nella prospettiva di erigere un nuovo sistema più aperto, più inclusivo e più sostenuto da processi diffusi di produzione e condivisione di conoscenze, può accompagnare una evoluzione che riesca a mantenere il grande capitale di cura e di sviluppo che ha caratterizzato il welfare del secolo passato. Necessario però superare quei tratti di immobilizzazione, di inflessibilità e di esclusione che, di quel sistema, hanno delineato le parti meno avanzate e più conservative. “Senza l’ardire di selezionare tra eccellenze e irrigidimenti burocratici, non si tutela e promuove la capacità di cura del nostro sistema di welfare; al contrario, si permette che le esperienze migliori e più coerenti con le esigenze della società contemporanea siano trascinate nella delegittimazione che sta colpendo le parti più rigide e burocratizzate. Un welfare che produce decisioni, genera cambiamento e supporta processi di sviluppo per le persone e per il paese, richiede un pensiero coraggioso e aperto, e una generazione di ricercatori, operatori e decisori disposti a esplorare le infinite possibilità di connessione e creazione di valore praticabili nell’apparente caos delle reti di welfare. Il salto richiede analisi robuste sulla società, sulle risorse e sui servizi, che attivino in modo diffuso una conoscenza più realistica e meno retorica sul sistema, per definire una visione di lungo periodo su cui fondare politiche e azioni sociali di alto impatto attuativo”, come afferma Giovanni Fosti che svolge attività di ricerca sui temi degli assetti istituzionali, della governance e della strategia nelle Amministrazioni Pubbliche.

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