Il termine ebraico Shoah
significa una catastrofe. Una tempesta devastante, e probabilmente non ci sono
parole migliori per descrivere quella che fu una catastrofe non soltanto per
gli ebrei, ma per tutto il mondo. Non sappiamo se all’inizio la retorica di
Hitler fosse solo propaganda. Tutto quello che sappiamo è che, dopo anni di
atroci discriminazioni che rendevano la vita impossibile per gli ebrei tedeschi,
nel 1942 la Germania nazista adoperò spazi, uomini e risorse per mettere in
pratica ciò che i gerarchi nazisti avevano definito “la soluzione finale”: lo sterminio
di tutti gli ebrei con l’Olocausto, la forma di “sacrificio” in cui le vittime
venivano interamente bruciate.
Come ogni anno, il 27 gennaio si
celebra la Giornata della Memoria in cui si ricordano le vittime
dell’Olocausto. Per il diritto ed il dovere di fermarsi a ricordare. Perché
tutto questo non accada mai più.

Bruno: "Potresti venire a
cena da noi una sera, ti va?"
Shmuel: "No, io credo di no,
come passo la rete?"
Bruno: "Ma questa è per non
far scappare gli animali, no?!"
Shmuel: "Gli animali? No, è
per non far scappare le persone!"
Bruno: "Cioè, vuoi dire che
tu non puoi uscire? Perché? Hai fatto qualcosa che non va?"
Shmuel: "Io sono ebreo"
Hannah Arendt parlava di male,
nel suo libro “La banalità del male”. Il male dei totalitarismi. «Quel
che ora penso veramente è che il male non è mai 'radicale', ma soltanto
estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può
invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come
un fungo. Esso 'sfida' come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di
raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il
male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua 'banalità'. Solo il
bene è profondo e può essere radicale». Solo il bene è profondo e può essere
radicale. Ricordiamocelo.
Nessun commento:
Posta un commento